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Caparezza, Fellini, inconscio, o Della scelta

Caparezza, Fellini, inconscio, o Della scelta

(cosa esplora “Fellini e l’ombra” di Catherine McGilvray ora al cinema)

Il documentario “Fellini e l’ombra” ci permette di riprende in mano e approfondire alcuni aspetti di Federico Fellini già accennati

“Tendere l’orecchio e il cuore a qualcosa che è quasi dimenticato e che non vorrei aver dimenticato” racconta la voce di Fellini. Ecco, ritroviamo già in questa frase la cifra del cinema di Fellini: la purezza dei personaggi di La strada o di Cabiria, la difficoltà di amare del Casanova, l’impossibile bellezza di  Sylvia, de La dolce vita, lo strano rapporto con la memoria in Amarcord e la crisi del regista di Otto 1/2. 

“I tuoi spiriti dicono sei libero, ma devi saper scegliere” dicono al protagonista di Otto 1/2. La “scelta” sembra ossessionare continuamente Fellini, anche le sue ultime due opere incompiute, il Mastorna e Tulum esasperano ancora di più la difficoltà “concludere”, che troviamo in ogni suo lavoro. Tanto è vero che scrive al produttore Dino: ” questa storia mi sembra una serie di entrate in cui non riesco a entrare”.

Come scegliere? Scegliere significa sciogliere un dubbio, de-cidere (tagliare), dare un significato. Caparezza nel suo ultimo disco dice di ispirarsi al Mastorna e al Guido sopra citati. Nel brano La scelta racconta la storia di due personaggi, che compiono scelte opposte, ma entrambe valide in quanto meditate e accettate. In fondo il momento della scelta è solo un’illusione.”Saresti capace di scegliere una cosa sola e farla diventare la tua ragione di vita?” chiede Guido a Claudia. Ebbene la cosa è in realtà impossibile.

Quando scegliamo infatti escludiamo e paradossalmente impediamo il presentarsi del dubbio (infatti lo sciogliamo) e quindi impediamo il presentarsi della necessità della scelta che però ci ha portato a compierla! Bel paradosso, ma è così che si costituisce il Tempo secondo Bergson e Deleuze. In Differenza e ripetizione lo scrive chiaramente: “il presente costituisce il tempo, ma è il passato puro a garantire il passare del presente”.

Ed è lo stesso Deleuze, nel capitolo sulle immagini-tempo cristallo, a esprimersi come farà Fellini nella lettera a Dino: “Il problema non è più sapere ciò che esce, e come, dal cristallo, ma al contrario, come entrarvi. Si riconosce il metodo che via via apparterrà a Fellini”.  E si perché è un “cominciamento”, “quello che si vede nel cristallo è lo zampillio della vita, il tempo nel proprio sdoppiamento”, e in Fellini assistiamo a germi di cristallo. “Il presente che passa e va verso la morte, il passato che si conserva e trattiene il germe di vita, non cessano d’interferire, di intersecarsi”

The medulla, on the other hand, is the inner region that contains fewer lymphocytes as well as more macrophages, specialized cells that swallow up tonerin gyogyszer ára and also ruin international substances.

Villeneuve e il cinema portato al proprio limite

Denis Villeneuve e il rapporto con l’immagine

Siamo abituati a descrivere ogni cosa che vediamo così tanto da pensare che immagine e parola siano la stessa cosa, ma con Bergson abbiamo imparato che l’immagine viene prima della parola. Prima di dire cosa stiamo guardando la stiamo già guardando. E’ il paradosso della percezione, che mentre si forma si confonde con il ricordo.  Villeneuve nei suoi film sembra aver intuito questa potenzialità propria dell’immagine.

La percezione de-spostata

Pensiamo ad Arrival e al recente Dune, due kolossal fantascientifici tratti da due intriganti romanzi: “quando” avviene esattamente quello che viene narrato, se spazio e tempo come li conosciamo vengono messi in discussione? Da che punto è vista la storia?

Ma pensiamo anche a Prisoners, un giallo-crime che ci insinua continuamente una curiosità incredibile verso la scoperta dei colpevoli, salvo farci capire, una volta scoperti, che questa curiosità non era tanto per i colpevoli ma per tutto quello a cui assistiamo, che il film stesso era “curiosità” verso un male senza (as)soluzione.  La preghiera iniziale, e gli ossessivi sguardi nel vuoto/vicoli ciechi  dei personaggi, non fanno che “bucare” in una situazione che è già degradata, proprio come l’alcool in cui si affoga il protagonista. In Sicario apre con l’orrenda e agghiacciante scoperta dei corpi nel muro, per poi virare l’horror in un action/spy movie vivace e stimolante, salvo concludersi in un desolante e cinico finale. Per farci ammettere che era meglio l’orrore della scena iniziale, perché almeno “innocente” nella sua anonima, per quanto inconcepibile, ripugnanza.

C’è sempre un punto cieco, di lato, che consente di percepire l’intero del film, la sua narrazione, i suoi cambiamenti…Sono i silenzi, le inquadrature anonime (senza sguardo di qualcuno, depersonalizzate).

La cinepresa di Villeneuve è ” inquadratura spostata” fin dall’inizio, in una strana messa a fuoco, che è al contempo sfocatura, una profondità di campo che è al contempo “sospensione del giudizio”. All’inizio di Prisoners assistiamo al protagonista disperato alla ricerca della figlia rapita, ma al contempo assistiamo all’incredulità di questo improvviso avvenimento: la cinepresa si muove quasi fosse una ripresa amatoriale (ma non lo è), rimane ferma su angoli della casa come una “natura morta” qualunque, mentre si svolge un dramma (atipico per un film drammatico che dovrebbe centrarsi su primi piani disperati e dettagli angoscianti). C’è un non-detto in quella scena che altro non è che l’avvenimento in corso. Ecco perché Villeneuve ha abbracciato con disinvoltura la fantascienza…gli alieni che parlano tramite il tempo cosa sono se non questi “buchi neri” del “vissuto”, che come tale è espressione di eventi ma al contempo l’evento stesso, perché inseparabile da esso?

Caparezza, a musician lost in Cinema

We are going to consider the ability of Caparezza to play with texts and music on the meaning of “sense”. Deleuze in “Sense’s logic” writes that each word need an other word to express his sense, Caparezza in his last album tries to find a word with a re-ferential sense, without the need of toher words, a “mute word”. This is why ne needs to loose himself. 

Who is Caparezza?

It is since 2019 that Caparezza seemed to be disappeared, but now he came back with a very original album, with a “meditative” concept.  

To talk about this album we have to expose in few lines the artistic career of “Caparezza” (artistic name for Michele Salvemini). Michele started in 90ies with the name “Mikimix”, a shadow of himself that he denied. From this denial Caparezza born. Caparezza walk accros different mutations: death and spiritual realization in “Habemus Capa”, a “musem phase” in “Museica” and a an ending in “prison” (“Prisoner 709”). It is going out from this prison that started “Exuvia”, this new album. This is why the cinematographic references to “italian neorealism” is so important for this album: even “neorealism” was trying to leave “mental prisons” of classic cinema, leaving the world of ideologies and discovering a world unrecognizable, in which we are like vagabonds.

Why in this album Caparezza makes a strong reference to Cinema? 

In particular Caparezza has declared to be inspired by last script of Fellini “The journey of G.Mastorna”, a script never realized, considered one of the most big project of the neo-realist director. In a song (“eterno paradosso”) he make an explicit reference to an other similar film: 8 1/2. The name of this film has a double meaning: it cames after 6 film and 3 co-directed, and it is refered to a film without a title, the one that the protagonist  has to realise with a lot of doubts. Both films, the one of the protagonists, and the film itself, is full of doubts, and confusion. The “Mastorna”, on the other hand, tells the story of a musician that after a strange airplane’s accident find himself in a strange place that seems to be the “afterlife” but it is not coherent, and more confused than life itself.

The emblematic quote taken from 8 1/2 (quoted in “eterno paradosso”) is: “I have nothing to say, but I want to say it anyway”. In Fellini’s films there is always something confused that wants to be expressed, it is what Gilles Deleuze called “pure past”, the “unconscious” rest of each present that passes. This is also why Fellini is so interested in writing his dreams and sometimes in drawing and shooting it. What differs from other neo-realistc authors is that in Fellini the real vagabond is this “pure past”. Caparezza refers to this because he find himself too lost in a land that is even lost: the pure past. This is why the penultimate song give expression to the Time itself (“Zeit”), but we are going to better see later this passage.

In “Eyes wide shut” Caparezza says “I dont’ want to find myself because I am in dangeours to really find me”. This is crucial because if he find himself in a lost land he became more lost than before! The reference to “eyes wide shut” is an other cinematographic reference, it the last Kubrick’s film. Kubrick is known to build stories in which we are not able to judge who is the true author, as in a “panic experience” (total identification with the whole) in which only a distructive innocent force operates. Only in the end of “2001, A space odissey” Deleuze writes that we can see a possible re-coincilation of this destructive force in a new world.

 

“Cinema” according to “The Frontiers” | Intro

Everyone, at least once, visiting a museum or listening music has reflected about the question “what is music?”, “what is paiting?”. In the same way we can ask ourself “what is a film?” “what means Cinema?”.  In our age, dominated by any kind of screenings, the question is becoming even more engaging.

There a lot of reasons for which we go to cinema, but here we consider the ability of cinema to realize movement with images, to “animate” images. While at theatre we follow a story played by real people in a phisical and stable place, at cinema we are in front of an “automatic reproduction”, an automatic movement without a support. And considering paitining or photography we see the same crucial difference: the movement is continuos. This is why our traditional way to consider reality as stable and de-fined isn’t useful for the reading of a film.

The French philosopher Gilles Deleuze has written two interesting book, respecetevely called “The movement-image” and “the Time-image”. It is not casually that it has been a philospher to have grasped the potential of cinema. “Movement” and “Time” are the most difficult concepts for the “common sense”, and they are in fact two of the most important questions of philosophy (Zenone’s paradoxes, “unmoved mover” elaborated by Aristotle…)

“The movement-image” of cinema is an image that is moved by itself and so the question became “Who moves who that moves who?”, we enter in a new domain without “substances”and in which the “whole” isn’t given, a movement without a mover, a “pure movement”.

 

For those wishing to knows more about philosophycal concepts considereted here : Kant (“time” as pure form of the subjectivity), Bergson (“duration” as “indivisible time”), Nietzsche (“became who you are”), Deleuze (intensity, non-chronological time, Aion), Minkowksy (phenomenological phichiatry, “lived time”), Heidegger (temporality of Dasein).

Image: Google’s celebration of Shirley Temple, hollywoodian icon.