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Il concetto di immagine-movimento

Bergson non è solo il filosofo della “durata”, ma anche del concetto di “immagine-movimento”. E’ lui a scrivere che i movimenti della materia non sono così difficili da capire, sono già chiarissimi come immagini.  La tradizione filosofica si è sempre dovuta confrontare in maniera complicata con il movimento (Achille supererà la tartaruga?, il movimento è divisibile?, le idee sono immutabili ma permettono il divenire? etc etc).

Gli sviluppi della scienza non fanno che confermare l’intuizione bergsoniana per cui pensare in termini di immagini-movimento, anziché in termini di “sostanze” e staticità, ci consente di elaborare dei concetti al limite delle nostre capacità intellettuali, ma proprio per questo capaci di maneggiare con ciò che sfugge al nostro pensiero, il movimento continuo. (per questo il titolo Le Frontiere ci sembrava il più adeguato).  Siamo sempre fermi al buon vecchio Kant e ai suoi limiti trascendentali: è possibile conoscere la “cosa in sé” aldilà del “fenomeno”?

Con “immagine” noi intendiamo una Forma (Gestalt la chiamano i fenomenologi), un’organizzazione della percezione, può essere quindi anche un suono, o un odore.

La dinamica del sogno ci offre diversi spunti: in un sogno tutto cambia continuamente e si contraddice senza seguire la logica proprio perché a manifestarsi sono immagini, percezioni, ma senza un controllo vigile. Bergson ci invita semplicemente ad affrontare le cose così come ci appaiono, e a mettere in questione la coscienza umana, considerandola come una delle tante funzioni vitali sviluppabili da un essere vivente, e quindi meritevole di indagine filosofica al pari di qualunque altro fenomeno.

In altre parole, venendo a mancare la presunzione di poter fondare un principio primo, viene anche a mancare la fiducia nella coscienza come strumento base per una conoscenza assoluta. Una vera analisi filosofica conoscitiva (ontologica-gnoseologica) dovrà abbandonare qualunque fede assoluta e interrogare “l’infinito” (il quale non ha di certo bisogno di una coscienza umana consapevole per essere tale), anziché de-finirlo.

Il fascino del sogno è di letteralmente “fotografare” il divenire. Sembra proprio che nel sogno emerga una sorta di fotografo interiore che si mette a scattare delle pose del divenire percettivo (come tale in realtà sempre sfuggente). Ma come mai compare questo fotografo? Quali sono le ragioni della sua frenetica attività? Che non sia proprio quella di compensare le deficienze della nostra vita cosciente, troppo concentrata sul “qui e ora”?

Foto: una scena di “Soul”, film animazione della Disney Pixar 

Il Cinema secondo “Le Frontiere”

Bergson e Deleuze per interrogare il cinema

Così come in tanti di fronte a un’opera musicale o pittorica si sono chiesti cosa sia la musica o la pittura, anche di fronte a un film potremmo chiederci cosa sia l’arte cinematografica. Nella nostra epoca, dominata da schermi con immagini di ogni tipo, la domanda diventa ancora più incalzante.

Oggi, che possiamo vedere film ovunque e non per forza in una sala (anche se la vividezza dell’esperienza viene meno), e che ogni immagine o video si può tagliare, unire ad altre, manipolare etc…il lavoro concettuale sul cinema compiuto da Deleuze negli anni 80 ci è ancora più d’aiuto. (non sia mai che la bulimia di immagini arrivi a profetizzare davvero la fine anche del cinema).   Aldilà del supporto fisico su cui scorre o di ricostruzioni astratte a posteriori, il cinema altro non è che “concettualizzazione della durata”. Riprendendo Bergson, filosofo della “durata”, Deleuze si rende conto che a essere tematizzato dal cinema è proprio quello scorrere inafferrabile che nella nostra vita quotidiana è sempre costretto a un “punto di vista” (il nostro ancoraggio fisico). Se secondo Bergson (ricordiamo anche i suoi dialoghi con la relatività di Einstein) la “durata” è l’impossibilità di ricostruire il movimento da dei punti fissi di traslazione, ebbene in ogni film che si rispetti il punto fisso viene proprio a mancare. Non è come a teatro in cui ci sono degli attori che agiscono e interpretano, l’azione (il movimento) è per così mossa da sé medesima.

Riprendendo il primo capitolo di Materia e memoria di Bergson Deleuze scrive:

  1. vi sono immagini istantanee, sezioni immobili del movimento
  2. vi sono poi immagini-movimento, sezioni mobili della durata
  3. vi sono infine immagini-tempo, cioè immagini-durata aldilà del movimento stesso

Da qui i titoli dei due volumi sul cinema, scritti nel 1983 e 1985: “L’immagine-movimento” e “L’immagine-tempo”, dove Deleuze compila un’inventario delle immagini-movimento e delle immagini-tempo osservate nel cinema dalla sua nascita fino agli anni 80 del Novecento.

In foto la celebrazione Google di Shirley Temple, icona hollywoodiana.