“Pensare la ripetizione come lo Stesso che si dice del differente” Gilles Deleuze
“Come puoi dirmi di non fingere se la scelta di fingere è un bisogno reale, se togli l’Arte dal mio mondo è solo un posto banale!” Eyes wide shut, Caparezza
“Siamo qui, a nascondere quello che sei dentro quello che hai” Vasco Rossi
Volgare, “cazzone” sopravvalutato, fenomeno di massa passeggero, “pesante”, superficiale…nel corso della sua lunga carriera (40 anni, 18 album, 191 canzoni, e più di 800 concerti), è cambiato molto e si è visto affibbiare così tante etichette, che alcune addirittura si contraddicono a vicenda. Tipico dei fenomeni superficiali e con poca sostanza verrebbe da dire…ma approfondiamo meglio.
Senza considerare chi lo ignora o lo disprezza, e andando semplicemente tra i suoi variegati fan, notiamo come a volte non venga apprezzato per intero e nonostante ciò venga comunque amato e riconosciuto come insostituibile…c’è chi apprezza maggiormente il Vasco irriverente degli anni 80 e si stufa di quello cupo/riflessivo degli anni 2000, chi considera solo quello romantico, chi quello politico e via così…ma a ben guardare due son le cifre stilistiche di Vasco: la capacità di mantenersi i fan nonostanti cambiamenti e talvolta pure delusioni, e la capacità di stupire ed essere sempre un passo più avanti degli stessi desideri dei fan…cosa forse che coinvolge la maggior parte del suo fedele popolo.
Perché se diamo uno sguardo alla sua lunga carriera troviamo di tutto meno che un percorso lineare, e se troviamo delle linearità sono solo ricostruzioni a posteriori artificiose. E la cosa più interessante è che nonostante le differenze tra una fase e l’altra possiamo trovare un continuum indivisibile. Ma vediamo meglio di cosa stiamo parlando:
Vasco comincia negli anni 70 con canzoni come “faccio il militare”, “Jenny è pazza”, “Colpa d’Alfredo “, Albachiara”. Canzoni che fanno rumore, quasi “parlate”, sfoghi, con volgarità che scandalizzano certi moralismi dell’epoca, ma che poi diventeranno quasi leggere in confronto a volgarità ben maggiori che arriveranno in futuro. Già qui notiamo come il fenomeno Vasco sia avanti rispetto ai tempi, ma non per lanciare nuove mode (era quasi sconosciuto all’epoca) e farsi “traghettatore”, semplicemente per un’aderenza a se stesso, ai propri di tempi.
Ma è proprio “Siamo solo noi” negli anni 80 a lanciarlo verso il successo, una canzone che parla di “sconnessione”, che “vuole solo vomitare”. Ma ancora una volta la fraintendiamo se pensiamo a una canzone che vuole reagire e contrapporsi e non ne cogliamo il flusso: vuole solo vomitare alle orecchie di chi vuol sentire…e parlare “le parole”, è una canzone muta, come “Jenny è pazza, non vuol più sentire, non sente le voci che il vento le porta…” Per questo Vasco dice molto bene quando definisce la”Zitti e buoni” dei Maneskin, la loro “siamo solo noi”. “Parla, la gente non sa di che cazzo parla, siamo fuori di testa, ma diversi da loro”.
Il successo arriva inaspettato perché come dice spesso Vasco, pensava di parlare solo a se stesso proiettandosi in quel “noi”, è il riconoscersi di molti in quell’indifferenziato a generare il “noi”. Ognuno ci mette del proprio in quel “siamo solo noi”. A unire è l’incertezza, la difficoltà a riconoscersi in un’identità.
Ed è qui che arriva il primo grande passo “falso” di Vasco: “voglio una vita spericolata, come quelle dei film”. Spiazza tutti, arriva ultimo a Sanremo e poi primo nelle radio e nei dischi, ma soprattutto riazzera tutto quanto detto prima, ora vuole essere “unico”, non più quel “noi” stanco e indifferenziato.
Gli anni 80 e 90 sono vivaci ma al contempo inquieti, Vasco sente questi contrasti nell’aria e compone canzoni come “C’è chi dice no” e “Gli spari sopra”. Ma ancora una volta, registrando le atmosfere di un’epoca trova un pretesto per continuare il proprio di discorso, parallelo a quello delle epoche in cui vive. In fondo il paradosso è questo, noi siamo parte del mondo e al contempo fuori di esso, dis-connessi, siamo un “esser-ci” del mondo, direbbe Heidegger, “gettato”.
Arrivano gli anni 2000, le contraddizioni esplodono, si affaccia un nuovo millennio. “Stupido hotel”: Cielo senza nuvole… Un amore utile… Sempre alla ricerca… Dov’è, fin là… Dov’è, questa felicità! Sono anni difficili per Vasco, quelli in cui muore l’amico Riva e si affaccia la depressione…
“Siamo soli”, Buoni o cattivi”, “Anymore”, “Un senso”, “Senorita”…
Arrivano poi gli anni 10 con “Vivere o niente” ed “Eh già, io sono ancora qua”. Nel 2012 rischia proprio la vita a causa di un batterio nel miocardio e ne esce rinato.
Sono questi anni di profonda meditazione, i più cupi, riflessivi e al contempo quelli in cui la sua energia si manifesta maggiormente.
Infine nel 2017, prima di partire per Los Angeles, affrontando la propria fobia per l’aereo, compone “Un mondo migliore”, una canzone che di nuovo stupisce e rilancia il proprio dis-corso. La rinascita non ha più bisogno della cupezza per parlare, è lei stessa a parlare, è una paradossale “rinascita in crisi” quella di “Un mondo migliore”. Si sbaglia a intenderla sempre come una rinascita da una crisi. Cogliendo la “differenza” insita nel suo discorso (direbbe Deleuze) è la rinascita in se stessa che parla: “sai essere liberi…costa soltanto qualche rimpianto…”.
Ha già capito che non si può giocare con il diavolo nel 2011 “al diavolo non si vende, si regala, eh già”, e ora scommette quello che gli è rimasto. Scommette il risultato della partita impossibile da giocare, bel triplo paradosso…
Comincia Modena Park, il concerto epocale prequel dei Vasco NonStop live. Il 2019 è l’anno della “Verità”, “non guarda i film già visti, non ama le pubblicità”.
Arriva poi come un fulmine a ciel sereno il 2020, con il coronavirus e i lockdown. Come giocare questa nuova partita? Con una canzone d’amore buttata via.
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