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Archivia Aprile 24, 2022

L’uomo pipistrello e il corpo origine delle utopie

Ricerca della semplicità e ritorno a un “vero” Batman, fisico, sentito, sembrano essere i principi guida del nuovo film dedicato all’iconico supereroe.

Se la prima versione del “fantasista” Burton sembrava vocata a un particolare colorismo gotico (niente nero, ma carnevale di grigio e nebbia), complici del piango-rido del Joker-Nicholson, e la rivisitazione di Nolan un appiattimento dell’immaginario in favore di una profondità concettuale capace di andare al cuore umano del mito, quest’ultimo sembra il meno ambizioso, il più sincero tentativo da parte del cinema di fare Batman.

Non più competere con il fumetto o con filosofie letterarie, ma fare davvero Batman al cinema. C’è da dire che Burton fece già un piccolo capolavoro, regalandoci una versione del fumetto quasi in grado di reggersi da sola.  Nolan d’altra parte è riuscito a farcelo sentire vero, non tanto per l’abbandono dello stile caricaturale\infantile, quanto per la profondità umana e concettuale. Siamo passati dalla fantasia notturna di Burton, , letteralmente “a occhi aperti” nella Gotham sempre sveglia, al “realismo impossibile”, del preciso e passionale (ai limiti dell’ossessivo) Nolan. Dal sognatore ad occhi aperti, allo sveglio in cerca di sogni. Nolan sembra uno che li ha perduti i sogni, o che non se li ricorda più da tanto si ossessiona con essi, come il personaggio di Di Caprio di Inception…

Insomma, siamo ancora sulla motocicletta di Catwoman (Anne Hathaway) a guardare avanti consapevoli del passato,  come il pipistrello dell’iconico logo scuro, i cui occhi fanno tutt’uno con le ali. Abbiamo i sogni dietro, davanti, dappertutto.  Sembra questa la cifra simbolica dell’universo Batman: passato ossessivo da ricercare e al contempo desiderio di libertà e futuro. Batman è tutt’altro che una storia già vista/scritta.

Il nuovo Batman sceglie di giocare con l’elemento “ombra”, non più trattandolo come elemento scenografico (ma sempre in luce) o simbolo narrativo/concettuale, ma presentandocela come protagonista. Nulla di più cinematografico.

E’ cosi che vediamo davvero il vestito di Batman, l’ombra. E non è un caso che sia proprio questo film il più concentrato sulla Gotham mediatica (video messaggi, canocchiali, lenti a contatto che registrano, schermi ovunque…). Siamo noi, nella nostra quotidianità.

Già Focault lo aveva previsto con il Panopticon. Ma Batman, con l’anatogista/complice Enigmista (prequel di Joker) sembra dirci: fatelo, svelate tutto, anzi lo vogliamo, così finalmente vedrete l’invisibile, il mio corpo! E’ proprio così che Focault definiva il corpo, quando lo descriveva come “origine delle utopie” e interno che per potersi esperire si fa esterno.

 

C’è del cinema NEI cartoni animati

A distanza di quasi 40 anni dai volumi sul cinema di Deleuze e nel pieno dello sviluppo tecnologico dell’immagine è inevitabile chiederci: e il cinema d’animazione? E la CGI?

Deleuze cominciava L’immagine-movimento mettendo in luce come il cinema alla sua nascita fosse ancora immaturo e costretto a imitare la percezione naturale tramite un’inquadratura fissa dipendente dal movimento che documentava. Da qui deriverebbe anche il facile misunderstanding di Bergson, che nelle prime sperimentazioni cinematografiche vedeva un riproporsi di quel meccanismo del pensiero che vorrebbe dividere il movimento in step, invece che coglierlo nella sua “durata”.  Ma ben presto, acquisendo consapevolezza sul proprio potenziale, il cinema sarebbe diventato quel “creatore di eventi” (ovvero di “durate”) capace attraverso il montaggio e il movimento nelle immagini di fondare la propria realtà.

Da qui il recupero dell’immagine-movimento di Bergson e la concettualizzazione delle “immagini mobili di durata” del cinema. Deleuze, dunque, si rivolge al cinema, in quanto pensatore “differenziale” ed è qui che Tagliapietra nel suo volume sui cartoni animati nota nel pensatore una “differenza ideologica rimossa”. Insomma, tra l’istante qualsiasi del fotogramma cinematografico (“sezione immobile del movimento”), e l’immagine-movimento come “sezione mobile della durata”, il cartone animato si instaura su una “sezione mobile del movimento”, un’instabilità di fondo, il caos che il pensatore dell’immanenza cerca di navigare.

Insomma, se negli occhi di un pensatore come Deleuze c’è il cinema, sotto al suo naso e al suo respiro c’è il cartone animato. Se il cinema scopre che il tempo è misura del movimento e non il contrario, il cartone animato scopre qualcosa che a sua volta misura il tempo…forse il volume Cinema3 di Deleuze? Dopo “Immagine-movimento” e “Immagine-tempo”…

Il punto cieco alla base dell’Immaginario

Anche chi non si occupa di filosofia e psicoanalisi avrà di sicuro sentito parlare dello “stadio dello specchio”.

Lacan, reduce dallo studio di Merleau-Ponty e dai seminari di Kojéve su Hegel, propose una teoria ancora oggi centrale per molte questioni, in grado di spiegare il processo di strutturazione della propria identità da parte del bambino. L’io, infatti, aldilà dell’astrazione con cui per comodità lo definiamo, è tutt’altro che “identico a sé” e fisso. Ma già tutta la filosofia post cartesiana aveva cercato di insinuare questo presupposto.

L’aspetto interessante di questo “stadio dello specchio” è il ruolo dell’alterità (che diverrà poi centrale in tutto il discorso lacaniano). Il bambino per fuggire all’angoscia del proprio essere frammentato e riconoscere la propria immagine ha bisogno dell’alienazione offerta dallo specchio.  La certezza illusoria di essere un Io deriva da questa fase. Per questo tale fase è così importante per capire anche la necessità del Simbolico, il significante e la mancanza. Il “terzo” si inserisce nel punto cieco e impedisce la con-fusione narcisistica.

Il Deleuze del “ritorno al Reale” (il registro lacaniano per indicare l’esperienza non significabile) vorrebbe chiamare in causa il “corpo frammentato” che, nonostante tutto, rimane latente nell’essere umano, soprattutto se lo si considera, come lo stesso Lacan faceva, un essere in fieri, problematico, sempre figlio delle esperienze.

In questo senso anche il confronto problematico tra Lacan e Merleau-Ponty (i due si confrontavano spesso) ci risulterà proficuo.

Saranno infatti gli stessi tentativi di Ponty di superare una fenomenologia della mera percezione a stimolare Lacan a riformulare il proprio “stadio dello specchio” individuando nello sguardo un “oggetto pulsionale” che “rende possibile” la percezione.

Infatti, è proprio al Leib (corpo vissuto, diverso dal Korper corpo oggetto) della fenomenologia a cui Deleuze si avvicina anche quando parla di utilizzo trascendentale della facoltà, nel suo ritorno a Hume.

Quanto ci sia di “proprio” nel corpo vissuto è da indagare.

che le parole cessino di far testo

“Sì, Gilles Deleuze!, tu sai bene che – linguagio e/o linguaggio a parte – s’ha da essere “in forma” ogni notte di giorno […] che quel nulla firmato e sottoscritto siamo noi unicamente…”

1978: in Italia viene pubblicato un libro dal titolo “Sovrapposizioni”, Carmelo Bene e Gilles Deleuze si “incrociano”.

riccardo III scritto da Bene – un manifesto di meno di Gilles Deleuze – Ebbene, sì, Gilles Deleuze! , la risposta di Bene

 

 

Da Intervista non firmata, Rivista del cinematografo 1970

Perché fa dei film?

Non lo so nemmeno io: il giorno in cui lo saprò non li farò più