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Archivia Febbraio 25, 2022

Blob, un cine(ma)ncato

“L’arte è una bugia che realizza la verità” – Pablo Picasso

Blob nasce nel 1989, dalle irrequiete menti dei critici enrico ghezzi e marco giusti. Erano gli anni del boom televisivo (doveva ancora arrivare internet) e il cinema si accingeva a nuove fasi. Il fermento è molto. L’intuizione, sviluppata anche grazie alle influenze deleuziane (i suoi due libri sul cinema sono dell’83 e dell’85 e a fine anni 80 si è già diffusa tra i critici cinematografici, stimolandoli a nuovi punti di vista sull’immagine-movimento) è di giocare con quella nemesi del cinema che sembra essere la televisione.

Pasolini denunciava come questa diventasse un vero e proprio ingombro in casa, capace di sostituire le relazioni umane, Fellini lottava contro la pubblicità che bloccava il continuum del film, chi per ragioni sociali, chi per altri artistiche, ma tutti in un modo o nell’altro esprimevano preoccupazione di fronte a questo nuovo mezzo prepotente e invasivo. Deleuze lo rileva chiaramente: con gli effetti speciali fini a sè stessi e la televisione, si tradisce il cinema, che si fonda sulla “durata”, non sulla presentificazione.

“Come è detto nei Misteri di Shangai: tutto può succedere in qualsiasi momento…”  Gilles Deleuze

Frontale con il presente

La presentificazione giustifica l’assimilazione inconsapevole delle immagini, e il rischio di bersi qualsiasi chiave di lettura ci venga proposta sopra alle immagini. Come se davvero le immagini avessero bisogno di una “messa in onda”, come se fosse più importante far vedere un su italia1 quel Mercoledi sera, invece che il film stesso.   Blob decostruisce e smaschera questa ingenua, ma subdola, tecnica della tv. Attraverso un montaggio spericolato, che ogni tanto sembra logico, in altri momenti sconlusionato, strascicato, rotolante… come a ri-mostrare che è il flusso televisivo a non avere senso, restituendo allo spettatore come sia lui a vedere e imporre un’interpretazione a quello che in realtà si presenta come appiattimento, pura passività.

ghezzi ci tiene a sottolineare come l’immagine in realtà non ci appartenga, pure quando pensiamo di dominarla.   Le immagini-movimento sfuggono all’interpretazione di qualcuno, al pensiero logico-rappresentativo. Da qui l’intuizione deleuziana di ghezzi: trasformare la presentificazione dell’immagine della televisione in un’immagine-durata che gioca con il non-detto della tv: l’illusione dell’istante. Le immagini nei media sono date per scontate ma proprio per questo se tolte dal montaggio, dalla scaletta, da chi vuole appunto fermarle, ra-ppresentarle, rivelano le proprie potenzialità, il proprio mondo pieno di visti e non visti.   “Le connessioni tra le immagini sono infinite, prendete un’immagine rigorosissima di Bresson e poi uno spezzone di varietà televisvo e per chissà quale alchimia un giorno trovano un legame” racconta ghezzi durante una sua lezione a dei giovani studenti di cinema.

Ma è lo stesso ghezzi in un suo articolo dell’84 sul volume “Cinema1 L’immagine-movimento” di Deleuze a sottolineare: “perfino l’ottusità che parrebbe l’assenza nel libro del video, della televisione, è invece il pregio di una chiarezza di sguardo, di sguardo sullo sguardo e con lo sguardo, che implica già il vedere di oggi, senza bisogno di comode video-sociologie dei simulacri alla Braudillard.”

In sintesi lo straordinario risultato di Blob è l’incredibile spazio di respiro che offre nel semplice mostrare un susseguirsi di immagini e sequenze, in quanto lascia immaginare qualsiasi connessione possibile allo spettatore,  liberandolo così dal giogo di una postura narrativo/visiva artificiosa e mistificante.

Il cinema secondo enrico ghezzi

“Paura e desiderio, cose (mai) viste” è il titolo di una raccolta di saggi cinematografici a cura del critico Enrico Ghezzi (fondatore di Fuori orario, cose (mai) viste e Blob).  Un semplice titolo a cui possiamo associare, con desiderio e paura di banalità, il primo film di Kubrick (Paura e desiderio, 1953), per ricordare l’elementare moto dell’inconscio e dell’immaginazione: il mantra freudiano “ogni paura è un desiderio”.

Eh si, perché a proposito di banalità, a sovvertire la logica e i conti che tornano, è proprio l’irriducibile inconscio. E lo sa bene Deleuze che vuole introdurre il movimento nel pensiero, senza cadere nell’astrazione come Hegel, ma fondando il pensiero di Differenza e ripetizione.

Ed è qui che arriva l’irriducibile cinema: paura e desiderio di un’immagine inafferrabile. Vogliamo vederla, ma in fondo sappiamo che non la conosceremo mai, che il segreto del suo movimento/tempo è a noi inaccessibile, che come ha detto Bonaga a Venezia78 “ci sottrae tempo, perché durante non hai tempo di vederlo”.